La Diocesi di Macerata ha celebrato il Giubileo dei migranti ieri, nella cattedrale di San Giovanni. Di seguito l’omelia del vescovo, mons. Nazzareno Marconi: “Nel suo primo incontro con i diplomatici, rappresentanti di quasi tutti i paesi del mondo, Papa Leone ha detto parole che possono illuminare il senso del nostro incontro di oggi: celebrazione del Giubileo dei migranti.
La Chiesa, ha detto il Papa, “combatte ogni indifferenza” e “non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione”. È il dovere di testimoniare al mondo quella verità che ci è affidata e che è Cristo, con le sue parole e soprattutto il suo esempio. Cosa dice dunque il Vangelo sulla realtà delle migrazioni che oggi coinvolge interi popoli? La Chiesa deve: “richiamare continuamente le coscienze ad essere attente al grido dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati”.
Come comunità cristiana non possiamo partecipare a quella “globalizzazione dell’indifferenza”, come la chiamava Papa Francesco, che è volgere lo sguardo altrove da coloro che soffrono. Questo sguardo però deve non solo vedere il male, ma anche indicarne con schiettezza le origini. La prima origine delle migrazioni è la fuga dalle violenze e dalle guerre. Perciò, mentre ci impegniamo ad accogliere questi nostri fratelli, dobbiamo egualmente impegnarci a cambiare un mondo che, fondato sui privilegi, sullo spreco, sulla violenza e su un’economia che produce più armi che cibo, semina “una guerra mondiale a pezzi” in tante regioni del mondo.
Come diceva già san Paolo VI: “la pace è l’opera della giustizia”, e non c’è giustizia se i violenti ed i prepotenti non vengono disarmati. “Sono sfide, ha detto papa Leone, che richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti, poiché nessuno può pensare di affrontarle da solo”.
Il mondo di oggi è come un grande corpo malato, in cui ingiustizia, violenza e disuguaglianze che si compiono in un paese, contagiano la vita di tutto il corpo, come un cancro maligno che si diffonde ed ammala sempre più ogni membro. La disattenzione alle guerre ed alle carestie, che per anni hanno afflitto il sud del mondo, ha portato oggi la logica della violenza e della guerra fin nel cuore dell’Europa, ed i feriti e gli uomini in fuga da tutto questo male bussano oggi alla nostra porta e chiedono giustamente di essere aiutati a vivere.
Per noi cristiani è una verità certa che: nessun diritto, nessun privilegio, vale più della vita di un uomo. È una parola scomoda, per chi non vuol essere disturbato dalla sua vita comoda ed egoista, ma noi non possiamo cancellare il Vangelo. Ed il Vangelo, ha ricordato il Papa, ci indica anche che la guarigione del mondo passa dalla guarigione delle cellule basilari di questo corpo sociale: le famiglie. “È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate. Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, società piccola ma vera, e anteriore a ogni civile società”.
Ed il secondo passo è altrettanto chiaro: “Favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato”.
Con grande concretezza, infine, papa Leone ha ricordato che solo la costruzione di una società più umana, più giusta e più accogliente, può metterci al riparo da sofferenze e prove che tutti possiamo trovarci a vivere. Ha detto infatti il papa: “Ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare sano o malato, occupato o disoccupato, in patria o in terra straniera: la sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio”.
Su questa luminosa chiarezza evangelica tutti siamo chiamati a convertirci, perché tutti abbiamo piccole o grandi occasioni ogni giorno di rendere il mondo più evangelico ed umano o più violento e malvagio.
Questa è la promessa di impegno nel bene che oggi vogliamo ciascuno deporre sull’altare di questa celebrazione eucaristica.”
