Favola di Natale 2023, pronunciata da mons. Nazzareno Marconi.
Don Camillo, un prete ormai sull’orlo della pensione, si era più volte chiesto se il suo nome fosse un dono o un problema: infatti tante volte si era sentito proprio uguale al don Camillo di Guareschi, con la stessa fede schietta e semplice e soprattutto con lo stesso simpatico mucchio di difetti.
Poiché stava finendo l’Avvento, gli venne l’idea di rinnovare ed ampliare il presepe, che ogni anno collocava in fondo alla sua chiesa. Lo metteva li perché fosse più vicino alla porta d’ingresso. Sapeva che molti, che da tanto tempo non venivano in chiesa, amavano però sbirciare dentro quando passavano per piazza. Un bel presepe, ben in vista già dalla soglia della chiesa, poteva essere l’invito a rientrare, anche solo per curiosità. “Io, intanto, te li riporto dentro” diceva don Camillo al crocifisso dell’altare, “poi tu cerca di approfittarne, il mestiere lo conosci meglio di me”. Dire queste cose al crocifisso a don Camillo veniva spontaneo, o forse era l’altro don Camillo che parlava in lui.
Da bravo prete ormai anziano, ma che si sforzava di adattarsi alla modernità, convocò il Consiglio Parrocchiale per parlare delle celebrazioni natalizie e tutto fiducioso buttò lì l’idea di ampliare e rinnovare il presepe.
“E chi lo fa? Chi ha tempo? Siamo tutti super impegnati” disse la signora Paola, che era sempre super impegnata. Ma don Camillo tante volte aveva pensato che: se lei avesse smesso di impicciarsi degli affari degli altri, si sarebbe ritrovata con tanto tempo libero. Però non lo disse: Natale era vicino e lui non voleva celebrarlo litigando con i pochi parrocchiani rimasti.
“Ancora con questi vecchiumi?” disse il professore di ginnastica, che siccome era un professore, si riteneva un intellettuale progressista e voleva una Chiesa sempre rinnovata, sempre smart. Ma don Camillo pensava che “la Smart” fosse proprio quella macchina a cui sembrava che mancava un pezzo. Così alla chiesa “smart” del professore mancavano vari pezzi: la fede semplice e schietta, la speranza nella vita eterna ed anche la carità aveva tante dichiarazioni solenni, ma pochi fatti. Ma anche qui don Camillo si morse le labbra e non fece commenti, per il motivo già detto prima.
La Direttrice del coro, era quella che voleva sempre canzoni nuove per Natale, ma trovava solo canti che parlavano di alberi, di rispetto dell’ambiente, delle campanelle che risuonano… cioè, di tutto meno che di Gesù bambino. Lei propose che piuttosto si sarebbe potuto ravvivare il look delle coriste. “Magari mettendosi quelle simpatiche corna da renna di Babbo Natale con le lucine a led che vendevano nel negozio sul corso” disse, tutta fiera della sua trovata. Don Camillo visualizzò le signore del coro, una ad una con un bel paio di corna in testa, trovando che per molte, da quello che si diceva in piazza, sarebbero state proprio adatte. Ma poi guardò in su, verso il crocefisso e si vergognò come un bambino che ha rubato la nutella, di avere avuto quel pensiero cattivo.
Allora il Direttore dell’oratorio tirò la bordata conclusiva, che fece subito bocciare il progetto. Disse che, come era scritto nel nuovo sussidio venuto da Roma: “il presepe non era inclusivo. Affermava in modo perentorio e prepotente una cultura cattolica che invece non doveva essere imposta con la forza”. Poi, ma questa era una sua idea che non stava nel famoso sussidio, quei pastori così simpatici erano evidentemente degli ebrei, e questo schierava indubbiamente la Chiesa con Israele e contro i Palestinesi. Don Camillo ammise di non aver mai pensato che il presepe potesse essere così pericoloso per la pace nel mondo e propose: “lo farò da me, come quello dello scorso anno e magari un po’ più piccolo e nascosto”. E la riunione si chiuse tra la soddisfazione generale.
Il giorno dopo don Camillo salì a fatica in soffitta, per prendere tavole e scatoloni con i pezzi del presepe. Ma aveva un anno in più ed una sciatica già ben infiammata. A metà del lavoro di trasporto si trovò bloccato dal dolore. Che fare? Scese allora con fatica al piano terra. Li in due stanze con un bagnetto aggiustato alla meglio, abitavano Sani il nigeriano e Ahmed l’algerino. Erano due operai che lavoravano da oltre un anno, ma guadagnavano poco e quei soldini li mandavano tutti a casa, per aiutare le famiglie rimaste in africa. Nessuno voleva affittargli una stanza, perciò don Camillo, che li aveva conosciuti al centro Caritas, alla fine si era inventato in casa sua quella soluzione di fortuna. Don Camillo chiese aiuto proprio a loro, con la sua solita faccia da burbero buono ed i suoi amici “colorati” gli promisero che tornando dal lavoro gli avrebbero dedicato un po’ di tempo per qualche sera.
Don Camillo scoprì subito che di presepi quei due non ne sapevano proprio niente. Ma avevano le mani buone ed una fantasia di tutto rispetto. “Tu spiega sta storia, disse Sani, che poi noi vedremo come fare”. Così partì quello strano cantiere in fondo alla chiesa, coperto intorno da dei teli per non disturbare le donnine del rosario. Ma il Signore, dall’alto della croce dell’altare, poteva sbirciare oltre i teli e vedere molto compiaciuto come progrediva l’impresa.
Prima di tutto Sani ed Ahmed decisero che: per una cosa così importante come raccontare la storia di Maria e della nascita di Gesù, di cui ricordarono che parlava anche il loro Corano, bisognava fare un presepe più grande e più bello di quello dell’anno precedente. Nel racconto del Corano c’erano anche l’angelo Gabriele ed una bella palma da datteri, così vollero metterci pure questi. Poi, fatto il progetto, presero a lavorare.
Gesù, dall’alto della croce si divertiva un mondo, a vedere il suo vecchio prete tornato bambino che con i suoi amici “colorati” costruivano, decoravano, stendevano i monti di carta da pacchi e vi spargevano la neve di farina.
Finirono la sera prima della Vigilia e vollero fare la prova generale. Chiusa la chiesa tolsero i tendaggi ed accesero le lucette nella stalla di Betlemme, nelle piccole casupole, oltre quelle per fare le stelle. Poi si fermarono a guardare.
Don Camillo ricordò quando sua madre faceva il presepe nella sua infanzia, con poche statuine vecchie e mettendo l’asinello con la testa nella paglia, per nascondere che gli era rimasta una sola orecchia e lei non voleva che il povero asinello si vergognasse. Don Camillo si era sentito tante volte come quell’asinello con una orecchia sola, difetti che la Madonna, come faceva sua madre, sapeva nascondere con tenerezza.
Ahmed vedendo Maria ed il Bambino si ricordò di sua moglie e del figlio in Algeria, che non vedeva da tre anni, ma era sereno perché li sentiva vicini e protetti dal Signore, anche se lui il Signore lo chiamava in un altro modo.
Sani invece era orgoglioso di quel finto deserto, fatto di farina di granturco e di pietruzze prese al cantiere dove lavorava. Lo aveva fatto uguale a quel deserto che aveva attraversato con tanta fatica e paura, ma ora era passato e poteva lavorare e dare una speranza alla sua famiglia in Nigeria.
Ed il Signore, dall’alto della croce, vedendo tutto questo, staccò le mani dai chiodi e prese ad applaudire.
Buon Natale.