Si è svolta questa sera, a Macerata, la cerimonia di traslazione dell’urna contenente il corpo di San Vincenzo Maria Strambi, dalla Basilica della Mater Misericordiae alla Cattedrale di San Giovanni. La processione guidata dal vescovo, mons. Nazzareno Marconi, ha visto la presenza delle confraternite e di una rappresentanza dei passionisti, ordine a cui apparteneva San Vincenzo Maria Strambi. Per tutto il periodo natalizio sono prevista diverse celebrazioni per ricordare il santo a 200 anni dalla morte avvenuta il 1° gennaio 2024. Mons. Marconi ha approfondito la sua figura nell’omelia pronunciata durante la Santa Messa in Cattedrale, che riportiamo di seguito.

Carissimi fratelli,
in un bel romanzo degli anni 70 del secolo scorso intitolato “Il quinto Evangelio” l’autore Mario Pomilio concludeva che, oltre i quattro vangeli canonici, lo Spirito Santo ne sta scrivendo un quinto, e lo fa attraverso la vita dei cristiani di ogni epoca ed in particolare dei santi. Per questo vorrei brevemente ricordarvi i passi salienti della vita avventurosa ed esemplare del nostro santo vescovo.  
San Vincenzo nacque a Civitavecchia il 1° gennaio 1745 in una buona famiglia cristiana dove apprese la fede fin dall’infanzia. Unico figlio rimasto, dopo la morte di tre fratelli, faticò un poco per ottenere dal padre il permesso di entrare in seminario a 15 anni, ma riuscì il 19 dicembre 1769 a diventare sacerdote a Montefiascone. Profondamente impegnato a diventare un santo prete, mentre a Roma stava perfezionando i suoi studi teologici, conobbe la Congregazione dei Passionisti, fondata pochi anni prima da S. Paolo della Croce e decise di entrarvi. Ammesso al noviziato nel settembre del 1768, nonostante la contrarietà del padre, che forse sognava per lui una carriera ecclesiastica e non l’umile vita dei passionisti, S. Vincenzo fece la sua Professione Solenne il 24 settembre 1769.
Ben presto prese a svolgere – per 5 anni – un’intensa attività missionaria, soprattutto rivolta al popolo povero dei territori interni dello Stato pontificio: predicò a Todi, ad Amelia, a Visso e nel Viterbese. Nel 1774 la grande stima popolare convinse i superiori a richiamarlo a Roma, presso la casa generalizia passionista dei Ss. Giovanni e Paolo e ben presto divenne uno dei più apprezzati predicatori di Roma. San Vincenzo predicava con la stessa passione sia nelle grandi basiliche romane, che nelle sudicie piazzette delle borgate di periferia. Anche il papa Pio VI prese a stimarlo, assieme a molti cardinali che frequentavano assiduamente le sue prediche: sull’amore di Dio e sulla urgenza della conversione dei cuori.
Dopo la morte di S. Paolo della Croce, S. Vincenzo si impegnò per far conoscere ed apprezzare la santità del suo amico e fondatore, diventando un punto di riferimento per tutti i passionisti. Il Papa, che lo stimava sempre di più, lo nominò allora vescovo di Macerata e Tolentino, era il 26 luglio 1801.
Giunto tra noi, si impegnò subito a trasmettere con l’esempio e con la parola infuocata quella stessa vita spirituale, intensa e fedele, che lui viveva da sempre. Riformò perciò la vita dei preti e dei fedeli, a partire dai seminaristi. Intensificò l’impegno missionario tra il popolo con la predicazione, la catechesi, e tante opere di carità e di beneficenza. Non tutto fu facile: questo suo stile evangelico radicale si scontrava con gli interessi dei ricchi, la superbia del clero e anche gravi peccati che venivano commessi sia dentro che fuori la comunità cristiana. Le cose si complicarono ancor più quando la storia europea coinvolse anche la Marca maceratese. Nel 1808, infatti Napoleone pose fine allo Stato Pontificio e anche nelle Marche entrarono in vigore le leggi che controllavano e limitavano il culto e la libertà religiosa. Vescovi e preti secondo Napoleone dovevano obbedire a lui piuttosto che al Papa. Furono così chiusi conventi e monasteri e tanti beni della Chiesa furono requisiti. S. Vincenzo non aveva mai nascosto il suo dissenso e seguendo le indicazioni di papa Pio VII si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al governo napoleonico, che era stato imposto ai vescovi e ai parroci, sotto pena dell’esilio.
Così furono sequestrati i suoi beni e le rendite e venne deportato prima a Milano e poi a Novara. Ma San Vincenzo non si arrese e, tornato dopo un anno a Milano, continuò in clandestinità il suo apostolato, guidando spiritualmente uomini e donne credenti, anche nobili ed influenti, mandando da questo esilio con il loro aiuto a Macerata lettere pastorali e offerte per i poveri, oltre a tanti libretti di devozione che scriveva per sostenere la vita di preghiera dei suoi fedeli, perché ormai non potevano più ascoltare la sua predicazione.
Visse questo esilio per 5 anni, fino a quando, dopo la caduta di Napoleone, san Vincenzo poté finalmente tornare a Macerata, dove giunse il 14 maggio 1814, giusto in tempo per accogliere papa Pio VII, di passaggio in città – era il 16 maggio – lungo il viaggio di ritorno a Roma dopo la sua prigionia in Francia. Macerata era ancora occupata dalle truppe napoletane di Gioacchino Murat, che il 3-4 maggio aveva subito a Tolentino una decisiva sconfitta ad opera dell’esercito austriaco. San Vincenzo si trovò quindi in una terra maceratese diventata un campo di battaglia e percorsa per molti giorni da eserciti, violenti soprattutto contro i deboli ed i poveri. In quei giorni tremendi con la sua forza morale, il suo schietto coraggio e la sua autorità di vescovo, fu impegnato a difendere il nostro popolo umile da soprusi e violenze.
Finita la guerra il vescovo, rinunciando ad onori e potere umano e politico che gli venivano offerti altrove, riprese la sua intensa azione pastorale in diocesi. Si dedicò a restaurare i monasteri, i conventi e le chiese che erano stati saccheggiati e danneggiati. Prese a far fiorire di nuovo le confraternite e molte istituzioni assistenziali e caritative, per assistere i tanti poveri, i mutilati e gli orfani che la guerra aveva moltiplicato.
Cercò di riportare fede e morale tra il popolo, mentre molti ormai abituati ad una vita libertina gli si opponevano risolutamente e lo offendevano con malizia.
Giunto a 78 anni, molto affaticato da questo grande lavoro, dopo 9 anni di intensa azione pastorale, l’11 novembre 1823 diede le dimissioni dall’incarico vescovile. Il nuovo pontefice, Leone XII, il marchigiano Annibale della Genga, accolse a Roma l’anziano padre passionista come suo consigliere e confessore privato. Colpito da apoplessia il 28 dicembre 1823, S. Vincenzo spirò il 1° gennaio 1824 200 anni fa e venne sepolto nella basilica romana dei Ss. Giovanni e Paolo. Proclamato santo da Pio XII l’11 giugno 1950, divenne patrono delle diocesi di Macerata e Tolentino. Il suo corpo tornò a Macerata solo il 12 novembre 1957 e da allora è rimasto tra noi ricevendo l’amore e la devozione soprattutto di quel popolo umile e povero che ha tanto amato e servito lungo tutta la sua vita.
Questo, fratelli carissimi è il nostro San Vincenzo. Durante quest’anno centenario cercheremo di pregarlo, di conoscerne meglio la vita e gli insegnamenti, perché chi come lui ha vissuto il vangelo con tutto il cuore, è un modello sempre attuale di vita cristiana. 

+ Nazzareno, vescovo