Piazza colma, almeno 400 tra studenti e studentesse, oltre a cittadini e al personale docente e amministrativo dell’Università di Macerata sono scesi in piazza nel nome di Giulia Cecchettin, affiancati dai rappresentanti delle istituzioni della città, a cominciare dal sindaco Sandro Parcaroli e della vicesindaco Francesca D’Alessandro.
“Ho voluto questo momento di testimonianza, di comunità – ha detto il rettore John McCourt – per mandare un segnale forte e unico contro le violenze di tutti i tipi ma soprattutto le violenze contro le donne, la violenza di genere, che continua ad essere una piaga della nostra società. Bisogna reiterare il valore della genitorialità, della famiglia, dell’amicizia, della comunità, dell’ascolto, del rispetto reciproco, della diversità, dei confini, dell’accettare la forza della parola “no”!”.
A dare voce, con commozione e forza, al messaggio del Consiglio degli studenti sono stati la vicepresidente Lucrezia Cinella e il presidente Dario D’Urso. “Le terribili parole che si continuano a sentire, soprattutto da parte di uomini, che mirano all’assoluzione di se stessi è tribuna politica, assenza di spirito critico, immaturità, violenza. La responsabilità dei singoli è responsabilità collettiva e chiunque cerchi di smorzare la portata rivoluzionaria della lotta di Elena Cecchettin e di tutte noi, che urliamo “se domani sono io voglio essere l’ultima”, è nostro nemico, nemico del mondo nuovo, ma soprattutto nemico di se stesso. La lotta di Elena è la lotta di tutti noi, è lotta di civiltà”, ha ribadito la prima.
“La violenza fisica e il femminicidio sono solo la punta dell’iceberg, e parte finale di un sistema radicato nella società, di una cultura che non ha più ormai alcun limite, dominata dal potere dell’uomo sulla donna riscontrabile nella quotidianità. Una cultura che ci dà un apparente senso di libertà totale sulle cose e soprattutto sulle donne, basata ancora oggi sull’oggettificazione della figura femminile. Io che sto leggendo questo comunicato, in quanto uomo, sono corresponsabile e beneficiario del sistema patriarcale, e non devo pensare a dire “Io non sono come lui”, ma ANZI dovrei fermarmi a riflettere su cosa c’è di Filippo Turetta in me?”, sono state, invece, le parole di Dario D’Urso.
E sul potere delle parole si è soffermata anche Natascia Mattucci, delegata al welfare e presidente del Comitato Unico di Garanzia di Ateneo, esperta di pensiero femminista e questioni di genere. “Oggi Giulia sarebbe una laureata in ingegneria, le si sarebbero aperte tante vie che non potrà percorrere. La violenza è la chiusura di una via e può avere forme anche più subdole di quelle che portano alla morte fisica, perché si può vivere pur morendo socialmente e culturalmente. Grazie anche all’uso politico che la sorella Elena ha fatto delle nuove parole diffuse negli ultimi anni è stato possibile trasformare quelle che erano vuote liturgie, come la giornata del 25 novembre, spingendo i nostri corpi qui, a scendere in strada e a interrogarci sulle responsabilità che ognuno ha, su quello che si può fare e che si può smettere di fare. Le parole possono aprire nuove strade di autonomia e liberazione, ma possono anche ferire. Come le armi”.
